#filo_di_Arianna

Pressante paura.

Ho tanta paura di essere me stessa. Non importa se quando ho lasciato cadere la mia immaginaria corazza, le persone mi abbiano espresso ammirazione e sostegno, ho continuato sempre ad avere il timore di non incontrare mai qualcuno che mi amasse nel mio insieme, mi amasse per semplice o complessa che sono.

Il primo giorno del secondo capitolo, o più precisamente, del silenzio tra un capitolo chiuso e uno non ancora iniziato. Mi sono svegliata con le parole di una canzone in testa. Non ricordavo altro che la melodia del passaggio e qualche sporadica parola: “This is a life (every possibility) Free from destiny (I choose you, and you choose me) Not only what we sow (every space and every time) Not only what we show (what we know)”. Queste parole, come spesso accade con i frammenti di canzoni che appaiono improvvisamente nei miei pensieri, sono sia un indizio che una rivelazione intima. Ricordavo che era una canzone nella mia solita lista di brani, che rinnovo una volta all’anno, ma non riuscivo a collegarla al suo titolo o alla fonte attraverso la quale è entrata nella mia vita. Una rapida ricerca e ho scoperto che si intitola This is a life ed è parte della colonna sonora del film Everything Everywhere All At Once. Mi sono stupita dell’ennesima coincidenza tra noi. In questi giorni ti avevo consigliato più volte di vedere questo film, e ieri mi hai detto che lo stavi guardando. Non sentivo il brano da tempo e prima di cercarlo non avevo chiaro che fosse collegato al film, eppure con disarmante tempismo ero di nuovo connessa a te.

Mi sono ricordata che ieri, a sette mesi dal giorno in cui sei venuto a trovarmi nella casa nei boschi e ti sei seduto al mio posto con una sorprendente naturalezza – come se fosse sempre stato il tuo posto e io avessi atteso che tu arrivassi – ci dicevamo che il primo capitolo era chiuso e il secondo non sappiamo se verrà aperto. Reduci da giorni fatti di lunghe e logoranti discussioni su come la dinamica tra noi fosse sbilanciata e tu, che in questo periodo ne hai avuto bisogno, avessi occupato nella nostra relazione anche il mio spazio, come avevi fatto con il posto sul divano nella mia casa. Solo che seduto su quel divano di una casa in cui entravi per la prima volta, ti ho visto sentirti a tuo agio nei panni del padrone di casa e io accanto a te ero felice di vedere te in quello spazio fino ad allora vuoto, ma il tuo bisogno di supporto stavano esaurendo la mia vitalità e mi stavano facendo sentire nuovamente sola e insicura come quando mi hai conosciuta. Accanto a te in questi mesi mi sono sentita sola più di prima che ti conoscessi.

Non so se te l’ho mai detto in maniera così chiara, ma ho tanta paura di essere me stessa. Non importa se quando ho lasciato cadere la mia immaginaria corazza, le persone mi abbiano espresso ammirazione e sostegno, ho continuato sempre ad avere il timore di non incontrare mai qualcuno che mi amasse nel mio insieme, mi amasse per semplice o complessa che sono. Ho un nodo in gola mentre scrivo queste parole, perché questa paura mi ha costretta in un carcere fatto di vergogna e repressione. Mi dispiace averti mentito facendoti credere di sentirmi libera e felice, mentre tu affrontavi da solo gli stessi demoni. La verità è che provavo a nascondere al tuo sguardo la parte di me che penso non sia degna di amore, quella parte insicura, spaventata e triste che ripete in continuazione non meriti di essere amata e non ti amerà mai nessuno. Il giorno in cui sei entrato in casa mia per la prima volta, non pensavo che saresti entrato nella mia vita. Eri, secondo me in quel momento, solo una persona di passaggio che avrei rivisto forse per caso qualche volta, ma che non avrebbe mai fatto parte del mio mondo. Ora sei il mio mondo. Sei il mio mondo che si sgretola con ogni parola che colpisce il fragile ecosistema al suo interno.

Quando il giorno dopo sei tornato per il caffè, ero incredula e sorpresa. Non credevo, e non avevo più né fiducia né speranza, che qualcuno potesse entrare nella mia vita e volesse tornarci. Ti sei fermato e ripartito dopo poco e già allora avrei potuto capire che la tua vita altrove, nella stessa città che ha accolto anche me negli ultimi quasi vent’anni, era in direzione opposta rispetto alla mia. Per assurdo che possa sembrare, io mi stavo avvicinando al tuo mondo – a casa tua, e tu propendevi per il mio mondo – verso casa mia. Eppure il nostro incontro era una transizione e tu non ti sei fermato per restare, ma per ripartire. Ti abbracciai prima che te ne andassi abbandonandomi alla vulnerabilità e alla fragilità. Allungai con naturalezza le braccia, non verso il tuo collo come faccio spesso con le persone care, ma attorno al tuo torso come in cerca di protezione e sicurezza. In seguito, ho spesso riflettuto su quel saluto così diverso dal mio solito, e ancora oggi lo considero cruciale. In quell’istante ho lasciato spazio al destino ed ero finalmente riuscita a essere fragile e genuina e ad accogliere qualcuno nella mia aura vitale. 

Tornando a ieri, a distanza di sette mesi dal giorno in cui ti accolsi nella mia casa e nel mio cuore, eravamo invece entrambi rigidi e distaccati; stanchi, stremati, sfiniti da un lungo periodo fatto di altalenanti incertezze e pressanti dubbi. Chi stiamo diventando? Come siamo cambiati in questo periodo in cui abbiamo scoperto l’uno nell’altra un’anima affine e ci siamo incamminati per una strada che non sappiamo ancora dove ci porterà? Questo periodo di scoperta ci ha fatto rimettere in discussione ogni nostra precedente convinzione su noi stessi perché ora abbiamo qualcosa di prezioso e raro: qualcuno che crede in noi. Credo in te. Ho fiducia nella tua capacità di trovare la giusta strada, così come sento la tua fiducia riposta nelle mie capacità. Questo ci ha dato l’energia e la forza di reagire al precedente stato di apatia nel quale affogavamo lentamente come un suicida che decide di annullare in sé lo spirito di sopravvivenza e si lascia trascinare sul fondo sotto la pressione dell’acqua che lentamente si fa spazio nei suoi polmoni. Vivevamo in uno stato di apatia prima di incontrarci; ora, a fatica, respiriamo e viviamo.

Credo che ci siamo sottratti dall’inevitabile rovina vedendo l’una nell’altro una salvezza dalla nostra incapacità di agire per salvarci dall’oblio. Sentirsi incoraggiati e sapere che c’è qualcuno che crede in te, ti fa scoprire un’energia così potente da percepirla capace di stravolgere e salvare non solo il tuo personale destino, ma quello dell’universo intero. Questo sentimento ci ha uniti e allontanati a più riprese in questo primo capitolo della nostra storia: da un lato la speranza che sbocciava e dall’altro la paura che ci trascinava nuovamente in quella stanza buia della nostra mente in cui custodiamo dalla visuale del resto del mondo – in un labirinto nel quale chi vi entra rimane vittima del nostro personale mostro affamato e assetato al quale diamo in pasto coloro che osano tentare di trovare la strada per raggiungere il nostro più ricercato tesoro e la nostra più spaventosa belva – il cuore.

Ho creduto in questi mesi per la prima volta in anni, o forse per la prima volta nella vita, che qualcuno fosse in grado di sopravvivere e uscire illeso una volta entrato nel labirinto e che quella persona fossi tu, ma così come la strada per il mio cuore è lastricata di ostacoli e vecchie ferite diventati abissi inesplorati, così la strada per il tuo l’ho trovata colma di false indicazioni e chiusure inaspettate. Quando finalmente abbiamo mostrato all’altro il percorso, abbiamo capito che eravamo smarriti e non era più sufficiente che l’altro credesse in noi, avevamo bisogno di credere ciascuno in sé stesso. La paura di aprire la strada verso di noi a un’altra persona aveva costruito corazze invisibili che pensavamo ci stessero proteggendo dal dolore, ma abbiamo scoperto che il dolore diventava sempre più presente e sempre più pressante e che l’unica loro funzione era di tenere gli altri distanti da noi. L’unico modo per spezzarle è dire apertamente ciò che più fa paura e liberare la nostra mente come si libera una barca dalle ancore prima della partenza per un viaggio. Smettere di avere paura della propria paura e affrontarla a suon di verità prima nascoste.

Ho paura di amare.