#cuore_di_latta

Volevo vivere.

Un giorno qualsiasi di nove anni fa circa, un estraneo mi aiutò a iniziare un nuovo modo di considerare il cuore. La rabbia che provo nei miei stessi confronti ha continuato a logorarmi, ma se non fosse per lui e per un ragazzo che conobbi anni più tardi, non sarei qui viva con un cuore che batte forte a riflettere su come amare me stessa.

Credo di aver odiato me stessa per buona parte della mia esistenza. Odiato i miei inconsapevoli sbagli, le mie pessime scelte, i miei grossolani errori, le mie mediocri conquiste. Odiato il non riuscire ad amarmi e il cercare in un’altra persona quello che non riuscivo a vedere in me stessa. Dove si cela nel corpo la capacità di amarci? In quale punto del nostro sistema nervoso un filamento si unisce a un altro e in noi si crea la capacità di amarci? Ho sempre pensato che fosse il pensiero a determinare le nostre emozioni, ma entrando nella cosiddetta età adulta – che mi pare più un adolescenza protratta anziché una nuova fase della vita – ho realizzato che tra la lista della spesa e le bollette da pagare, le emozioni occupano quasi uno spazio ridicolo nella mente. Se non nella mente, allora dove? Nell’intestino? Nei polmoni? Nel cuore? In molti negli anni hanno tentato di convincermi che il cuore ha una sua importanza nella nostra vita, ma le smancerie e i romanticismi non sono mai stati il mio forte, per cui li ho semplicemente ignorati – loro e il cuore. Poi, un giorno qualsiasi di nove anni fa circa, un estraneo mi aiutò a iniziare un nuovo modo di considerare il cuore. La rabbia che provo nei miei stessi confronti ha continuato a logorarmi, ma se non fosse per lui e per un ragazzo che conobbi anni più tardi, non sarei qui viva con un cuore che batte forte a riflettere su come amare me stessa.

Nove anni addietro lavoravo in una bottega del centro che vendeva articoli di cancelleria e affini. Una piccola oasi di curiosità e cultura in un mare di superficiale e distruttivo interesse turistico nei confronti della città in cui vivevo. Un giorno, mentre pulivo gli aloni sulla vetrina esterna, un signore si avvicinò a me. Viso gentile. Occhi sorridenti. Sulla sessantina. Vestito da vacanza in spiaggia più che in città. Con un forte accento britannico. Mi domanda in inglese la direzione per raggiungere San Marco. Sorrido e mi preparo a dare le indicazioni più precise che io abbia mai voluto dare a un turista, riservando di solito un “Vai dritto di qua” agli altri. Era una giornata buona. Indicai con la mano la direzione e aggiunsi: “You have to go straight and by the end turn right.”. Il signore iniziò a ridere. Guardava me e la mano che indicava e rideva. Rideva di gusto per qualcosa che mi sembrava banale. Non capivo il motivo di tanta ilarità, però, ribadisco, era una giornata buona e decisi di accettare la risata come qualcosa che a me rimarrà incomprensibile e presi fiato per proseguire. Lui, invece, prese la mia mano tra le sue e disse: Left, darling. Left. Remember. Like the heart’s side.”. Quell’accenno al cuore mi sorprese, ma ancora di più il fatto che in pochi placidi movimenti lui portò la mia mano all’altezza del suo cuore e la poggiò ripetendo: “Left, like the heart’s side.”

Nella posizione in cui era la mia mano avrei dovuto sentire i battiti del suo cuore, invece quello che percepivo sotto il mio palmo era un piccolo cerchio di metallo attaccato al suo petto. Lo guardai perplessa mentre lui divertito aggiungeva: “Listen to the heart, dear. Listen to the heart.”. Poi si interruppe quasi di scatto. Sembrava un dubbio lo assalisse. Stette fermo per un secondo e poi aggiunse. “Oh, that’s my pacemaker. Here is my heart.” e spostò la mia mano leggermente più a sinistra. Ero inerme. Capii allora che l’insegnamento che mi trasmetteva non stava nel non confondere a parole la destra e la sinistra, ma nel riconoscere a quel piccolo frammento di materia che pompa ininterrottamente il sangue nel nostro corpo la vitale importanza. “I would not be living without my pacemaker, but you can, darling. You live.”, aggiunse. Quel personaggio sconosciuto mi spiegava la differenza tra l’avere un cuore che vive da solo e uno che senza un meccanismo artificioso morirebbe. Sparì così come è arrivato l’uomo che quel giorno salvò il mio cuore dal continuare a essere considerato al pari di una pompa e io, forse per la prima volta, fui grata al mio cuore che non aveva bisogno di un supporto artificiale per vivere.

Oggi il cuore fa male. Le parole “Non riesco ad amarti.” rimbombano nella testa. Inizio a pensare che averlo tenuto ingabbiato e ignorato tra le costole per quasi tutta la mia esistenza sia stato un bene. Il dolore preme per ampliarsi. Mi sento ingenua ad averlo liberato per te. Ora si fa sentire. Batte all’impazzata, poi rallenta all’improvviso e duole. Lo sento come incastrato in una morsa che preme, rilascia la presa, e poi preme ancora e non serve a niente tentare di distrarmi, di fare o di pensare altro. Sento che reclama il suo posto nella mia vita. Vuole essere ascoltato. L’ho sentito così rumoroso anche il giorno in cui decisi di morire. Sono passati quasi cinque anni da allora, ma se sono ancora viva oggi è grazie al rumore che ha fatto il cuore. Per comprendere come sono arrivata sul punto di farla finita, devo fare un passo indietro di alcuni mesi. Volevo evadere dalla mia vita. Mi sentivo incastrata in una dinamica dalla quale non riuscivo a liberarmi. Ero in una relazione nella quale non volevo esserci. C’ero entrata perché non volevo perdere l’amicizia che ci legava e quando lui mi chiese di scegliere tra iniziare una relazione o chiudere l’amicizia, mi sentii costretta a rimanere con lui. Cercai invano di vedere un futuro insieme; più guardavo quell’uomo-bambino, più mi sentivo un’infermiera che si prende cura di un malato in coma sperando che un giorno una miracolosa cura lo riesca a svegliare. 

Avevo paura di affrontare la mia condizione di ostaggio nella mia stessa vita. Non decisi di lasciarlo perché un giorno ebbi il coraggio di ammettere a me stessa che ai miei occhi era privo di speranza, ma per il fatto che conobbi una persona che mostrò dell’interesse per me e questo mi diede il coraggio di scappare. Una situazione assurda, ma andò proprio così. Il caso volle che questa nuova persona vivesse dall’altra parte dell’Italia e questo coincideva con il mio desiderio di evadere. Purtroppo, l’illusione di poter scappare dalla propria vita durò molto poco. Mi ritrovai a volermene scappare anche da lì. Non mi allontanavo da qualcuno o da qualcosa, io tentavo di fuggire da me stessa. Realizzai che non c’era un punto sul pianeta dove avrei potuto nascondermi da me. Sentivo come se non ci fosse una via d’uscita. Non volevo più vivere. Valutai di saltare da un ponte nel Po’ – il non sapere nuotare avrebbe provveduto al resto, o forse mi avrebbe solo riportato a casa visto che anche il fiume, come me, doveva arrivare al mare. Non ebbi il coraggio quella notte di terminare la mia vita. Il giorno seguente abbandonai le mie cose per essere spedite in seguito, presi un treno e piansi per tutto il viaggio. Un tentativo di evasione dal quale ritornai in meno di due settimane. Rientrata nella mia solita città, dovetti fare i conti anche con la persona che avevo lasciato andandomene. Ero già esausta e la nostra conversazione mi esaurì ulteriormente. Volevo solo che tutto finisse in quel momento, quella sera stessa. Tutto.

Me ne andai portando via solo dei soldi e dei biglietti per l’autobus – andavo pure a morire, ma avrei timbrato il biglietto per il tragitto. Feci tappa in uno di quei posti bui in cui o si passa tutta la serata ubriacandosi a dismisura, oppure si scappa per evitare gli ubriachi smisurati. Rimasi solo il tempo di due bicchieri di whiskey – inutili, visto che rimasi sobria e il coraggio di morire lo dovevo trovare in me stessa. Uscii e mi incamminai verso il mare. Ero determinata a farla finita. Andavo senza fretta, assaporavo l’aria e la visione di quella città magica in cui mi ritrovai a vivere anni addietro. Ero determinata a non tornare indietro e in un certo astruso gioco del destino, indietro non ci tornai. In quel momento, però, pensavo di andare verso la fine della mia esistenza. Arrivata all’altezza del ponte di Rialto mi fermai perché, come in un miraggio, risuonarono nella testa le parole del ragazzo per il quale feci il viaggio verso Casale Monferrato e indietro in poche settimane – come dissi una delle più care amiche “Hai fatto un gran Casale Monferrato!”. “Ascolta il tuo cuore.” mi disse con affetto capendo che non ero felice accanto a lui prima che ci salutassimo. Che volesse dire non mi era chiaro all’epoca, ma il giorno in cui pensai di morire, mi fermai e misi una mano sulle costole all’altezza del cuore e rimasi ferma così ai piedi del ponte per qualche battito. Il cuore pulsava forte, sembrava non facesse nemmeno parte di quel corpo stremato che lo portava dentro. Il cuore sembrava non tener conto della mia decisione di morire.

Sola, con una mano appoggiata sul torace, in silenzio, ascoltavo il cuore vivere senza bisogno di artificiosi ingegni che lo aiutassero nel suo compito. Il cuore era vivo in un corpo vivo. Se fossi proseguita, lo avrei dovuto uccidere. Non ebbi più la forza di proseguire. Non potevo fare morire quella vitalità che c’era nel cuore. Gli anni successivi furono difficili e tormentosi, colmi di incertezza e malessere, ma anche di grandi trasformazioni e di gioia nel riscoprire la voglia di vivere. Il dolore che provo ora non è sintomo di malessere – è più simile a quello che si sente dopo un’operazione chirurgica salva vita – un discomfort che suggerisce che il peggio è finito e la guarigione è iniziata. Non so se credere che sia solo una curiosa sequela di coincidenze oppure una sorta di scia di segnali sparsi sul percorso allo scopo di guidare le mie scelte, ma quando guardo Meet Cute, film che ho voluto vedere anche insieme a te, ripenso a come quella notte senza i due incontri che la precedettero poteva essere l’ultima della mia vita e io un breve articolo scritto male da un giornalista alle prime armi sulle ultime pagine dedicate alla cronaca locale in un giornale di provincia. Invece incontrai loro che mi fecero tornare la voglia di vivere e te che mi hai fatto tornare la voglia di amare me stessa e il mondo che mi circonda.

Ecco il cuore!