#seminare_e_coltivare

Terra Viva.

Un giorno qualsiasi di nove anni fa circa, un estraneo mi aiutò a iniziare un nuovo modo di considerare il cuore. La rabbia che provo nei miei stessi confronti ha continuato a logorarmi, ma se non fosse per lui e per un ragazzo che conobbi anni più tardi, non sarei qui viva con un cuore che batte forte a riflettere su come amare me stessa.

Ogni storia comincia dalle storie che l’hanno preceduta. Vi è mai capitato di trovarvi di fronte a un oggetto e pensare a quante centinaia di persone e a quante centinaia di anni sia sopravvissuto quell’oggetto prima che voi ve lo trovaste davanti? Mi è capitato di pensarlo in un preciso istante, ma non ricordo né il contesto né il tempo. Mi affascina pensare a quanto possa essere stata magnifica l’esistenza di un oggetto che ha assistito a persone ed eventi per secoli prima di arrivare a noi o noi che arrivassimo a esso. Persino il più banale degli oggetti sopravvissuti per secoli, più di una qualsiasi vita umana, porta con sé un bagaglio di storie ed episodi di cui si è persa ogni traccia. Una storia esiste solo fintanto che c’è qualcuno che la ricorda a memoria o su materia, poi svanisce nell’oblio lasciando alcune volte innegabile traccia di un avvenimento o della quotidianità, ma spesso senza alcuna storia né triste né divertente.

Sono cresciuta avendo la possibilità di correre spensierata a piedi scalzi per strade e giardini senza la preoccupazione di incorrere in pericoli per l’incolumità e la salute. Le strade con le pietre, la terra e l’erba richiedevano attenzione, ma perlopiù erano parte di un gioco – evitare di farsi male – non erano un rischio come la spazzatura di ogni fattura e tipo. Con il passare del tempo mi sono così abituata ad avere i piedi coperti dalle scarpe che quasi dimentico quanto sia bello sentire il pulsare della terra sotto le piante dei propri piedi. Ora anche al mare è diventato difficile camminare scalzi senza incorrere nel rischio di pestare un mozzicone di sigaretta o altra spazzatura fino a pericoli pungenti o taglienti che possono causare ferite o persino malattie. Eppure non sono passati che pochi decenni da quando l’ambiente veniva tenuto pulito perché la terra è vita, ci nutre e ci mantiene in vita in risposta a come la trattiamo.

Ci vuole materia, energia, acqua e fatica per creare un qualsiasi oggetto di cui ce ne serviamo spesso ignari dell’intero ciclo di concatenamenti che lo hanno realizzato e mantenuto funzionale fino a noi. Quanto cambia se nella terra piantiamo un seme o della spazzatura? Quanto è più importante avere un nutrimento proveniente da un terreno sano rispetto a possedere una quantità smisurata di oggetti di cui non ci serviamo perlopiù o affatto? Quante risorse vitali consumiamo per modificare materia destinata a diventare il concime in cui scorre l’acqua che beviamo e su cui cresce il cibo che mangiamo? Nell’ultimo secolo i nostri panorami naturali e le nostre popolose città sono diventati sfondi per le discariche a cielo aperto della nostra dimenticanza più colossale – siamo parte integrata della terra e della sua capacità di produrre e riprodurre la vita, inclusa la nostra, grazie a cicli stagionali e a risorse vitali, come l’acqua.

Ho avuto la fortuna di crescere anche in una campagna incontaminata perché vigeva la regola “Non si butta via niente.” – poi crescendo anche in città ho assistitto a un graduale incremento di spazzatura tutt’attorno e anche nella mia stessa quotidianità è subentrato il meccanismo di “Usa e getta.”. Come se per un oggetto fosse naturale consumare risorse preziose come l’acqua per produrre qualcosa la cui durata di utilizzo si può ridurre a pochi minuti per poi utilizzare altre risorse ed energie per smaltire, buttare, gettare con incoscienza in natura prima che ritorni di nuovo a noi. Un ciclo vitale e produttivo, inquinante sembra quasi riduttivo, tossico per la nostra stessa sopravvivenza – indiscriminatamente.

Nonostante il grande divario di accesso all’oggettistica “usa e getta” sia differente in varie aree della terra, piccolo sasso ruotante ai margini di una galassia – casa nostra, la cosiddetta “richezza” di materia produce anche il peggior ambiente per la salute. Respirare aria di scarto, bere acqua plastificata, mangiare cibo poco nutritivo e mantenersi in forma correndo in una stanza – tutto per produrre ulteriore spazzatura. Un paradosso apparentemente illogico, eppure è la realtà quotidiana di una grande parte della popolazione globale – e nel mentre tra fiumi, mari e oceani si sposta la nostra “finta ricchezza” da una spiaggia all’altra. Secondo un pensiero, se una “magia” si riesce a immaginare, la si riesce a realizzare. Come immaginare un mondo in cui si vive senza creare scarto diffuso abbastanza da fare tornare la natura “pulita” per ricordarsi come sono belli i panorami senza macchie di spazzatura?

Nutro profonda ammirazione per gli oggetti di lunga più grandi della mia età, che si tratti di un utensile da cucina o di un quadro, nutro rispetto nei confronti di ciò che ha servito e rallegrato l’esistenza di chissà quanti altri esseri umani prima di diventare utile e apprezzato anche da me. Cerco di prendermene cura e riparare all’occorrenza gli oggetti che possiedo per tentare di diminuire la quantità di spazzatura che creo.

Vicino a Ortona, nel 2015, mi capitò di entrare in un negozio di oggetti usati. Ammiro ciò che assiste a eventi e persone e riesce a sopravvivere al tempo. Sento una sorta di affinità elettiva nell’essersi capitati dinanzi. Qualcosa che qualcun altro ha dismesso diventa importante per me e mi avventura nel salvataggio del passato; una storia nella storia. Il negozio era colmo di oggetti curiosi; da giovane e squattrinata potevo però portare via uno soltanto. Capitai in una stanza in cui c’erano ammassati una serie di quadri. Li spostai uno a uno prima di avere davanti uno piccolo con una cornice pomposa e ingombrante. Su sfondo scuro il profilo di un busto scuro con il solo contorno allargato a più riprese con colori luminosi. 
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L’effetto rispecchia la brillantezza dell’olio e ricrea una sensazione di espansione nello spazio. Una visione percepita personale; portai con me il dipinto lasciando i pochi soldi richiesti; credo perlopiù fossero per la cornice! Ebbi l’occasione di chiedere un parere ad Alessandra Montalbetti al @guggenheim_venice sulla fotografia del quadro siglato con due lettere indistinguibili. Lei accennò a un possibile accostamento ai Futuristi, nominando una persona precisa – qui mi scuso per non averlo segnato e così dimenticato – che passò del tempo a Ortona. Il quadro è custodito con cura per essere salvaguardato, il logo ricorda il valore di un frammento che esiste fintanto che rimane traccia e memoria.

Ogni storia incomincia dalle storie precedenti, dalle radici di questa terra viva.